TRIBUNALE ORDINARIO DI BRESCIA Sezione Lavoro Il Tribunale in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Mariarosa Pipponzi, Presidente rel.; dott. Maurizio Giuseppe Ciocca, giudice; dott. Natalia Pala, giudice; all'esito dell'udienza del 23 febbraio 2022 svolta con la modalita' della trattazione scritta ai sensi dell'art. 221, comma 2 e comma 4, decreto-legge n. 34/2020, ha emesso la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale nel procedimento per reclamo iscritto al n. r.g. 48/2022 R.G. promossa da: E. A. ( ), E. C. (C.F.), S. V. (C.F. ) e G. Z. (C. F.) tutte rappresentate, assistite e difese, anche disgiuntamente, dall'avv. Francesco Onofri, dall'avv. Giovanni Onofri e dall'avv. Andrea Giliberto, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Chiari (BS) - vicolo Pace n. 14 - in forza di procure allegate al ricorso introduttivo depositato in data 24 novembre 2021, Reci; contro: A.S.S.T. S. C. DI B. (C.F.) in persona del legale rappresentante pro tempore con il patrocinio dell'avv. Nebel Paola con elezione di domicilio in Brescia - piazzale Spedali Civili n. l - presso l'avv. Nebel Paola - reclamata; Premesso che E. A., E. C., S. V. e G. Z., hanno radicato in data 23 novembre 2021 un giudizio di merito diretto ad ottenere, da un lato, l'accertamento della illegittimita' della sospensione dal lavoro per non aver ottemperato all'obbligo vaccinale e, dall'altro lato, la conseguente reintegrazione nel posto di lavoro anche in diverse mansioni che fossero compatibili con l'inosservanza dell'obbligo predetto nonche' il pagamento della retribuzione ed il risarcimento dei danni anche non patrimoniali che allegavano di aver subito; le predette ricorrenti hanno contestualmente formulato domanda cautelare per ottenere in via di urgenza la immediata temporanea reintegrazione nel posto di lavoro, anche in mansioni diverse, ed il pagamento degli emolumenti dovuti; deducevano le ricorrenti: a) l'obbligo vaccinale, non e' costituzionalmente compatibile rispetto ai parametri dell'art. 32 della Costituzione (trattamento sanitario obbligatorio privo della necessaria giustificazione e riserva di legge limitata dal rispetto della dignita' umana), dell'art. 4 della Costituzione (lesione al diritto al lavoro priva della necessaria giustificazione), degli articoli 3 e 97 della Costituzione (previsione irrazionale e contraria al principio di buona amministrazione) nonche' degli articoli 3, 4 e 36 della Costituzione (per l'onerosita' dell'alternativa del tampone, ove ammessa); b) la violazione dell'obbligo di repêchage perche', quand'anche l'obbligo vaccinale possa essere ritenuto costituzionalmente compatibile, il datare di lavoro avrebbe dovuto ricollocarle in mansioni compatibili con l'inosservanza dell'obbligo predetto e non sospenderle, consentendo loro di mantenere la possibilita' di lavorare e di percepire la retribuzione (unica loro fonte di reddito); la A.S.S.T. DEGLI S. C. DI B. si costituiva in giudizio affermando la legittimita' della sospensione disposta, sia in quanto le questioni di costituzionalita' sollevate dalla parte ricorrente in ordine all'obbligo vaccinale dovevano ritenersi infondate, sia in quanto non vi erano mansioni diverse in cui le medesime lavoratrici potessero essere adibite; autorizzata dal giudice assegnatario la integrazione dei motivi del ricorso alla luce della modifica normativa nel frattempo intervenuta, le odierne reclamanti hanno, in particolare, sostenuto la illegittimita' costituzionale dell'art. 4 decreto-legge n. 44/2021, convertito dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, cosi' come modificato dall'art. 1, comma 1, lettera b), decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172, nella parte in cui non prevede alcuna possibilita' di reimpiego in assenza di vaccinazione salvo che per coloro che siano esentati o la cui vaccinazione sia stata differita; con provvedimento emesso in data 29 dicembre 2021 il giudice assegnatario aveva respinto la domanda cautelare affermando, da un lato, la legittimita' dell'obbligo vaccinale e, dall'altro, dando atto che essendo intervenuta «la nuova formulazione dell'art. 4 come riscritto dal decreto-legge 26 novembre 2021 neppure piu' e' previsto l'obbligo datoriale di ricollocazione del lavoratore»; Rilevato che Le reclamanti sono tutte dipendenti a tempo indeterminato della A.S.S.T. S. C. DI B.: V. S., Z. G. ed A. E. svolgono la professione di infermiere professionale mentre C. E. quella di operatrice socio sanitaria; l'A.S.S.T. S. C. DI B., ricevuta la comunicazione di ATS Brescia di avvenuto accertamento nei confronti delle odierne reclamanti di inosservanza dell'obbligo vaccinale (docc. 3/a, 3/b, 3/c, 3/d, fascicolo parte ricorrente), ha comunicato la sospensione dal servizio, senza corresponsione di retribuzione o altro compenso o emolumento ai sensi dell'art. 4, comma 8 del decreto-legge n. 44/2021, fino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, con decorrenza per C. E. dall'..., per V. S. dal ..., per Z. G. dal... e per A. E. dal (docc.4/a, 4/b, 4/c-d, 4/e, fascicolo parte ricorrente); l'Ordine delle professioni infermieristiche di Brescia comunicava a mezzo PEC, in data... alle sigg. re V. e Z. e in data... alla sig.ra A. ... in quanto iscritte al relativo albo, il predetto accertamento dell'ATS, dando atto delle relative conseguenze (docc. nn. 5/a, 5/b e 5/c fascicolo parte ricorrente; cfr. altresi' docc. nn. 6/a e 6/b fascicolo parte ricorrente); l'Ordine delle professioni infermieristiche di Brescia provvedeva poi a comunicare alle predette ricorrenti le delibere di sospensione dall'albo (docc. 13a), 13b) e 13c) fascicolo parte ricorrente); nelle more del giudizio cautelare sono intervenute delle modifiche alla normativa vigente al momento della disposta sospensione, dapprima quelle introdotte con decreto-legge n. 172/2021, convertito con modificazioni dalla legge 21 gennaio 2022, n. 3 (nella Gazzetta Ufficiale 25 gennaio 2022, n. 19), che ha, fra l'altro, prorogato la sospensione sino al 15 giugno 2022 ed ha abolito l'obbligo di repêchage, mentre successivamente e' intervenuto il decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 (nella Gazzetta Ufficiale 24 marzo 2022, n. 70) con il quale la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, per gli esercenti le professioni sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario di cui all'art. l, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43 che non hanno adempiuto all'obbligo vaccinale, e' stata estesa sino al 31 dicembre 2022; in relazione alla sopravvenuta modifica legislativa ed alle motivazioni esposte nel provvedimento cautelare hanno evidenziato: a) che la soppressione dell'obbligo di repêchage non troverebbe alcuna giustificazione nella finalita' che la stessa norma indica (e cioe' quella «di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, in attuazione del piano di cui all'art. 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178») e sarebbe comunque lesiva delle disposizioni di cui all'art. 32 della Costituzione, nonche' degli articoli 2, 11 e 117 della Costituzione (rispetto all'art. 3 della Carta di Nizza e rispetto all'art. 5 della Convenzione di Oviedo) essendo evidente «il superamento del limite della dignita' umana, ovvero del rispetto della persona umana, cosi come declinato dalla pertinente giurisprudenza costituzionale, nonche' la violazione del diritto di autodeterminazione» che erano vieppiu' rilevanti e intollerabili stante la maggiore durata della vigenza dell'obbligo nonche' l'assenza di alternative in termini di «ricollocazione sicura» in mansioni prive di contatto con l'utenza; in particolare, le reclamanti hanno denunciato, da un lato, la violazione del loro diritto al lavoro e del diritto ad una esistenza libera e dignitosa conseguente all'impossibilita' di lavorare e di percepire alcun reddito per il proprio sostentamento nonche', dall'altro lato, la ingiustificata natura discriminatoria della norma che impedisce loro di accedere al luogo di lavoro, in quanto non vaccinate, seppure disponibili a sottoporsi a tampone ogni quarantotto ore; le dipendenti hanno pertanto chiesto di essere reintegrate nel posto di lavoro e nella retribuzione in quanto la sospensione dalla possibilita' di lavorare inciderebbe sulla loro professionalita' ed in quanto la impossibilita' di ottenere la retribuzione (ovvero qualsiasi altro emolumento) inciderebbe sulla possibilita' di far fronte alle loro esigenze alimentari facendo venir meno la loro «unica fonte di reddito»; b) che la questione era rilevante in quanto la datrice di lavoro non aveva provato, nella vigenza della precedente normativa, di aver effettuato la preliminare valutazione circa la possibilita' di adibire le dipendenti ad altre mansioni; c) l'onere di dimostrare l'impossibilita' di repêchage, diversamente da quanto affermato nel provvedimento cautelare impugnato, gravava sulla parte datoriale; l'A.S.S.T. S. C. DI B. si e' costituita in giudizio chiedendo il rigetto del reclamo sottolineando, per un verso, che nel bilanciamento operato dal legislatore tra i due valori in esame, quello dell'autodeterminazione individuale e quello della salute pubblica, quest'ultimo sarebbe stato prevalente e, per altro verso, che la previsione dell'obbligo vaccinale del personale sanitario avrebbe rappresentato l'unica soluzione possibile in questa fase di emergenza contro il virus SARS-COV-2 stante «la dimostrata maggiore efficacia dei vaccini rispetto ai tamponi» che rendeva manifestamente infondate le questioni di illegittimita' costituzionale sollevate in relazione all'art. 32 della Costituzione. In merito all'obbligo di repêchage, il datore di lavoro contestava poi la fondatezza dei rilievi delle odierne reclamanti e chiedeva la conferma del provvedimento impugnato; Osserva Quanto all'ammissibilita' delle questioni di costituzionalita' sollevate in sede cautelare: la Corte costituzionale si e' ripetutamente espressa in senso a cio' favorevole nella misura in cui non risulti esaurita la potestas judicandi del giudice remittente, circostanza che non ricorre nel caso di specie, venendo adottata con separato atto, contestualmente al presente provvedimento, solo una misura cautelare interinale, la quale e' provvisoria e rimarra' efficace fino alla Camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale ed e' quindi da intendersi condizionata agli esiti dello scrutinio di costituzionalita' richiesto (in tal senso Corte costituzionale sentenza 9 maggio 2013 n. 83 e Corte costituzionale sentenza 30 gennaio 2018 n. 10). Questo collegio ritiene che l'art. 4, comma 7 decreto-legge n. 44/2021, conv. dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, con le modifiche successivamente introdotte dal decreto-legge n. 172/2021, conv. con modificazioni dalla legge 21 gennaio 2022, n. 3, nella parte in cui prevede che l'adibizione a mansioni diverse senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-COV-2, e' ammessa solo per il periodo in cui la vaccinazione di cui al comma 1 e' esentata o differita, pone dubbi di compatibilita' con gli articoli 3 e 4 della Costituzione sotto il profilo della disparita' di trattamento, della irragionevolezza e sproporzionalita' nonche' sotto il profilo della lesione del diritto al lavoro, di talche' tale questione va rimessa alla Corte costituzionale. Quanto alla rilevanza: Le reclamanti sono rispettivamente infermiere ed operatrice socio sanitaria alle dipendenze di A.S.S.T. S. C. DI B. e quindi sono soggetti tenuti ad adempiere all'obbligo vaccinale in controversia; tutte le reclamanti non hanno ritenuto di adempiere a tale obbligo vaccinale e non hanno allegato di versare in una delle ipotesi in cui la vaccinazione puo' essere omessa o differita; G. Z. ed E. A. sono state sospese rispettivamente con provvedimenti in data e in data e la loro sospensione dal servizio e' prevista ora, con la proroga introdotta dal decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 (nella Gazzetta Ufficiale 24 marzo 2022, n. 70), sino al...; E. C. e S. V. sono state invece reintegrate dopo avere contratto il virus SARS-COV-2 ed esserne guarite (ved. note di replica della parte reclamante depositate il 16 febbraio 2022 e note di replica della parte reclamata depositate il 18 febbraio 2022 ma la sospensione riprendera' effetto automaticamente decorsi i novanta giorni indicati nella circolare del Ministero della salute - Direzione generale della prevenzione sanitaria prot. n. 8284 del 3 marzo 2021 (come ribadito dall'Ufficio di Gabinetto del predetto Ministero), secondo quanto previsto dall'art. 4, comma 5 del citato decreto, secondo cui «in caso di intervenuta guarigione l'Ordine professionale territorialmente competente, su istanza dell'interessato, dispone la cessazione temporanea della sospensione, sino alla scadenza del termine in cui la vaccinazione e' differita in base alle indicazioni contenute nelle circolari del Ministero della salute. La sospensione riprende efficacia automaticamente qualora l'interessato ometta di inviare all'Ordine professionale il certificato di vaccinazione entro e non oltre tre giorni dalla scadenza del predetto termine di differimento» e, dunque, con riferimento al caso di specie, in epoca antecedente rispetto alla cessazione dell'obbligo vaccinale; tutte le reclamanti hanno contestato la sospensione ed hanno offerto di rendere la prestazione anche mediante l'adibizione ad altre mansioni e previo test molecolare o antigenico. Cio' premesso, ritiene questo collegio che la locuzione utilizzata dall'art. 4, comma 7, decreto-legge n. 44/2021, conv. dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, nella formulazione attuale, secondo cui «per il periodo in cui la vaccinazione di cui al comma 1 e' omessa o differita, il datore di lavoro adibisce i soggetti di cui al comma 2 a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2», non consente di riconoscere alle odierne reclamanti, quali dipendenti volontariamente non vaccinate, alcuna forma di tutela del loro diritto al lavoro e, in particolare, la reintegrazione nelle loro o in altre mansioni, di talche', trattandosi di una disposizione speciale, non pare percorribile ne' la strada dell'interpretazione costituzionalmente orientata sulla base degli articoli 3 e 4 della Costituzione, ne' quella della disapplicazione per contrasto con la Carta dei diritti fondamentali della UE. Infatti, l'obbligo imposto al giudice remittente di vagliare, prima di sollevare la questione di legittimita' costituzionale, la percorribilita' di tutte le ipotesi ermeneutiche astrattamente possibili per attribuire alla norma un significato non incompatibile con i principi costituzionali incontra il limite invalicabile costituito dalla formulazione letterale della disposizione. Modificando la precedente formulazione dell'art. 4, decreto-legge n. 44/2021, conv. dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, il quale prevedeva che, «ricevuta la comunicazione di cui al comma 6, il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l'assegnazione a mansioni diverse non e' possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9 non sono dovuti la retribuzione ne' altro compenso o emolumento, comunque denominato» (c. 8), il legislatore ha esplicitato la chiara volonta' di porre la nuova disciplina in rapporto di discontinuita' con quella precedente e di estromettere percio' tutti i lavoratori inadempienti all'obbligo vaccinale dall'esercizio di tutte le attivita' nell'ambito delle strutture del compatto sanita'. Sicche' la sopravvenuta modificazione della disciplina legislativa preclude a questo giudicante in assoluto ogni possibilita' di una interpretazione in contrasto con la formulazione letterale. Per quanto riguarda, invece, la possibilita' di disapplicazione per contrasto con la Carta dei diritti fondamentale della UE, e' sufficiente evidenziare che la materia degli obblighi vaccinali non costituisce in se' oggetto di una disciplina dell'Unione e rispetto ad essa ogni Stato mantiene nell'ordinamento interno ampio margine di autonomia, come si ricava dalla adozione di misure differenziate tra gli stati membri in merito alla previsione di vaccinazioni obbligatorie. Secondo la costante giurisprudenza della CGUE i diritti fondamentali garantiti nell'ordinamento giuridico dell'Unione si applicano in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell'Unione, ma non al di fuor di esse. La Corte costituzionale ha ripetutamente affermato (da ultimo con sentenza n. 194 del 2018) che le disposizioni della Carta sono applicabili agli stati membri solo quando questi agiscono nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione (Corte costituzionale, sentenza nn. 63 del 2016 e n. 111 del 2017). Cio' in quanto l'art. 51 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE e' rigoroso nel prevederne l'applicabilita' alle istituzioni, organi e organismi dell'Unione e agli Stati «esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione» (par. 1), e questi soggetti promuovono l'applicazione dei corrispondenti diritti e principi «secondo le rispettive competenze e nel rispetto delle competenze conferite all'Unione nei Trattati» (par. 1); viene poi ribadito il contenuto dell'art 6 TUE laddove si afferma che la Carta «non estende l'ambito di applicazione del diritto dell'Unione al di la' delle competenze dell'Unione, ne' introduce competenze nuove o compiti nuovi per l'Unione, ne' modifica le competenze e i compiti definiti nei Trattati» (par. 2). In tal senso, la forza espansiva dei diritti fondamentali trova dunque un limite nel principio di attribuzione delle competenze che caratterizza la struttura istituzionale o costituzionale dell'Unione, con conseguente impossibilita', nel caso di specie, di ravvisare gli estremi per una diretta applicazione della normativa euro-unitaria ovvero per una corrispondente disapplicazione della normativa interna. Al contempo, occorre osservare che l'esito del presente giudizio cautelare risulta dipendere dalla conformita' o meno dell'art. 4, comma 7, decreto-legge n. 44/2021, conv. dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, alle norme della Carta fondamentale, in quanto il reclamo promosso da E. A. , E. C., S. V. e G. Z. dovrebbe essere accolto - solo - ove tale disposizione venisse ritenuta in contrasto con la Costituzione nella parte in cui il legislatore ha limitato la possibilita' di essere adibiti a «mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2, esclusivamente ai soggetti esentati dall'obbligo vaccinale ovvero a coloro che hanno ottenuto il differimento per il periodo di durata dello stesso, mentre non e' stata prevista nei confronti dei dipendenti che si siano deliberatamente astenuti dalla vaccinazione. D'altro canto, la domanda di reintegrazione articolata dalle reclamanti in relazione al profilo dell'obbligo di repêchage troverebbe nel resto accoglimento, in sede cautelare, in ragione della sussistenza dei presupposti di fumus noni iuris e di periculum in mora. Da un lato, infatti, il datore di lavoro non ha assolto all'onere di dimostrare l'impossibilita' di adibire le dipendenti a mansioni differenti e atte ad evitare il rischio di diffusione del contagio - pur essendo consolidati i principi di diritto secondo cui «in materia di repêchage non sussiste alcun onere di collaborazione da parte del lavoratore, questo gravando esclusivamente sul datore di lavoro» e secondo cui «l'impossibilita' di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, elemento che, inespresso a livello normativo, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non puo' essere condizionata da finalita' espulsive legate alla persona del lavoratore. L'onere probatorio in ordine alla sussistenza di questi presupposti e' a carico del datore di lavoro, che puo' assolverlo anche mediante ricorso a presunzioni, restando escluso che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili» (Cass., sez. lav., sentenza 4 marzo 2021, n. 6084; ved. altresi', ex multis, Cassazione, sez. VI, ordinanza 18 gennaio 2022, n. 1386). Dall'altro lato, poi, e' rimasta del tutto incontroversa, sempre ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 115 del codice di procedura civile, la circostanza secondo cui la retribuzione erogata da A.S.S.T. degli S. C. DI... costituirebbe l'unica fonte di reddito per le reclamanti, cosi' che, nel caso di specie, appare sussistente anche un pregiudizio grave, imminente ed irreparabile in relazione alla perdita della possibilita' per le lavoratrici di far fronte alle esigenze primarie della vita. Alla luce di tutto cio', si deve dunque ritenere che il presente procedimento non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale di seguito illustrata e relativa all'art. 4, comma 7 del decreto-legge n. 44/2021, conv. dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, per come modificato dall'art. 1, comma 1, lettera b) del decreto-legge n. 172/2021, conv. dalla legge 21 gennaio 2022, n. 3. Quanto alla non manifesta infondatezza: l'obbligo vaccinale previsto per gli esercenti le professioni sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario e' testualmente finalizzato «alla tutela della salute pubblica» e al mantenimento di «adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza» e, pertanto, a prescindere da ogni considerazione in merito alla sua idoneita' a raggiungere lo scopo (circostanza che la parte reclamante comunque contesta), non si puo' che rilevare che il pericolo di diffusione del virus, sia uguale in capo a qualsiasi lavoratore non vaccinato, indipendentemente dal fatto che la omessa vaccinazione sia dovuta ad una scelta volontaria oppure ad un accertato pericolo per la sua salute. A parita' di condizione (uguaglianza del pericolo di contagio per gli altri dipendenti, per gli ospiti e per i pazienti), non si comprende allora per quale motivo l'obbligo di repêchage debba sussistere solo a favore dei secondi (soggetti esentati o per i quali la vaccinazione e' stata differita) e non anche a favore dei primi. Ne' potrebbe sostenersi che, nel settore sanitario, la differenza di trattamento sia giustificata da esigenze aziendali essendo stato previsto il repêchage per gli esentati o differiti senza limitazioni ed essendo stato, altrettanto totalmente, escluso per gli altri soggetti non vaccinati. Pertanto, si dubita che il comma 7 del citato art. 4, nell'attuale formulazione, sia conforme agli articoli 3 e 4 della Costituzione nella parte in cui non prevede che l'obbligo di repêchage sussista anche per coloro che scelgono di non vaccinarsi. Cio', in primo luogo, per violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 della Costituzione e, in particolare, per irragionevolezza delle disposizioni in esame, in quanto il diverso trattamento previsto per coloro che hanno deciso di non vaccinarsi e coloro che non possono vaccinarsi (in quanto esenti o differiti) non appare sostenuto da alcuna giustificazione. In secondo luogo, nel precludere al personale non vaccinato per libera scelta la possibilita' di lavorare - anziche' applicare altre soluzioni quali, ad esempio, il controllo tramite test di rilevazione del virus e l'assegnazione a mansioni diverse, ove possibili - lo Stato risulta essere venuto meno al compito di rendere effettivo il diritto al lavoro (ex art. 4 della Costituzione) in quanto ha introdotto una misura che si espone al dubbio di rivelarsi eccessivamente sbilanciata e sproporzionata, con eccessivo detrimento del valore della dignita' umana stante la compressione assoluta del diritto al lavoro destinata a permanere sino al 31 dicembre 2022, anche oltre il termine dello stato di emergenza e solo per i lavoratori del comparto sanitario. Ne' la temporaneita' della misura interdittiva adottata dal legislatore appare di per se' idonea a giustificare il sacrificio totale degli interessi antagonisti, atteso che la stessa e' in grado di produrre effetti gravemente pregiudizievoli per siffatta categoria di lavoratori, privati di ogni possibilita' di svolgere attivita' lavorativa sia come dipendenti che come liberi professionisti, vieppiu' alla luce della disposta proroga. A cio' si aggiunga che l'originaria formulazione della norma prevedeva la possibilita' di attribuire al dipendente non vaccinato, seppure solo ove possibile, mansioni diverse. La modifica legislativa che ha successivamente precluso una simile possibilita' non appare tuttavia compatibile con il principio di ragionevolezza, corollario del principio di eguaglianza sostanziale di cui all'art. 3, comma secondo della Costituzione, e cio' anche in considerazione del fatto che al personale sanitario non vaccinato e' stato imposto il contestuale divieto di svolgere qualsiasi attivita' lavorativa - incluse quelle che non comportano alcun rischio di diffusione del contagio da SARS-COV-2 - in ragione della tutela della salute pubblica e del mantenimento «di adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza». Questo collegio non dubita che il legislatore nella sua discrezionalita' possa aggravare gli effetti dell'accertamento della violazione di un obbligo, ma ritiene che debbano comunque essere individuati degli specifici presupposti che siano idonei a giustificare, un simile aggravamento. Tali presupposti, in relazione alla disciplina in esame, non risultano tuttavia individuati, atteso che lo scopo primario che la norma intende perseguire (ovverosia quello della tutela della salute pubblica in una situazione emergenziale epidemiologia mediate la garanzia dell'accesso, in condizioni di sicurezza, alle cure e alle prestazioni sanitarie in genere) e' rimasto sostanzialmente immutato nel tempo, cosi' come sono rimaste invariate le esigenze connesse alla tutela della salute e della sicurezza negli ambienti di lavoro. La novella legislativa che, senza prevedere alcuna soluzione alternativa o intermedia, ha sospeso dal lavoro e dall'intera retribuzione il personale sanitario che non ha inteso vaccinarsi appare, quindi, del tutto irragionevole e certamente sproporzionata rispetto allo scopo che la normativa si prefigge.